mercoledì 22 gennaio 2014

(esca) Rubrica: Mohamed Malih

Ex-Stra: la rubrica di Mohamed Malih

5. Il Pigiama. Ovvero, dell'odore di mia nonna



Mia nonna ogni tanto partiva dalla campagna e ci veniva a trovare a Casablanca. Aveva un buon odore mia nonna. Io non sono di quei nasi che basta che entrino in una cucina e sanno subito dirti cos’è che bolle in pentola. L’unico odore che saprei indovinare a colpo sicuro è quello del cavolo.
 
Qualche volta ho tentato di fare il raffinato ma mi è andata malissimo, ho finito per scambiare cannella con i chiodi garofano, la curcuma con la noce moscata… Per quanto riguarda mia nonna direi perciò, senza entrare troppo nei dettagli, che il suo odore è fatto dall’insieme delle spezie citate più l’odore della terra. Aggiungerei anche un pizzico di prezzemolo e un filo d’olio d’origano e anche un po’ dell’aroma delle uova di gallina ancora calde, di quelle che hanno ancora attaccate un po’ di fieno e un po’ di escrementi di gallina.
Sono sicuro che se mia nonna sentisse la descrizione che sto facendo del suo odore, come minimo mi guarderebbe male. Ci sarebbe un’espressione più semplice: aveva un buon odore; un buon odore agreste. Solo che magari qualcuno che sta leggendo va a finire che poi pensa alle stalle, o ai campi di grano o, che so io, alle balle di fieno. E non è propriamente questa l’idea che voglio dare dell’odore di mia nonna. Ovvero, è anche questa ma mescolata all’odore della notte e del sonno e anche dell’africa.
Oserei aggiungere anche l’odore delle favole. Ma forse sarà meglio che lasci perdere questa cosa dell’odore, sennò va a finire che non lo so più neanche io che odore aveva mia nonna. Però mi piacerebbe che ci fosse una figura professionale tipo il sommelier delle nonne. Uno gli porta la nonna, lui da un'annusatina, magari la agita anche un pochino, e poi ti da una di quelle belle descrizioni che fanno i sommelier quando trattano i vini. Che vengono fuori con dei retrogusti di certi fiori e ortaggi e legni e frutta che uno non ha mai sentito, però alla fine ti fai ugualmente un’idea poetica del liquido che hai davanti. E anche se in realtà ti fa schifo ti dici che sei tu che non sai apprezzarlo.
Solo che mia nonna, pace alla sua anima, non c’è più, e forse al sommelier dovrei portare qualcosa che indossava, magari un lembo del grembiule. Ma forse a questo punto il sommelier deve essere anche un po’ strega, dovrà avere anche la palla di vetro e tutti gli attrezzi che di solito hanno i fattucchieri, lettori di mani e carte, insomma tutti i tipi che per mestiere hanno stretti rapporti con l’ignoto e l’aldilà.
Ora che ci penso gli odori infatti hanno in sé qualcosa di trascendentale. Come ad esempio il fatto che evocano memorie antichissime, e che noi magari solo per pigrizia tendiamo a datare in qualche punto della nostra infanzia. Forse provengono direttamente dal paradiso, tranne chiaramente l'odore del cavolo e dello zolfo. Decisamente è meglio che non sforzi troppo il mio apparato olfattivo, ché poi vedi come va a finire.
Anche perché non è dell’odore di mia nonna che volevo parlare, ma del fatto che quando veniva da noi non si spogliava mai. Nel senso che andava a letto così com’era vestita. Niente pigiama insomma. Ora anche io ho questa tendenza di andare letto così come sono, senza pigiama. Non lo so, forse non si sentiva a casa sua per mettersi comoda. Forse era una questione di pudore. C’è anche da dire che non è che le davamo una cameretta tutta per sé: la casa era piccola e noi siamo, tra fratelli, sorelle e genitori, più o meno il numero di una squadra di calcio.
Insomma ho questo due ricordi precisi della mia nonna, uno è che non metteva mai il pigiama quando veniva da noi a Casablanca e l’altro è il suo odore. Sì anche il ricordo dell’odore è preciso anche se trovo qualche difficoltà a metterlo nero su bianco.


mercoledì 1 gennaio 2014

 

VI AUGURA BUON ANNO!


(esca)Film: Zapping Tra web e cultura




Pubblicato in data 19/dic/2013
Regia: Iolanda La Carrubba
Anno: 2012
Lingua: Italiana

(esca) Video: Raccolta Manzù


(esca)Rubrica: Mohamed Malih

Ex-Stra: la rubrica di Mohamed Malih

4. Salafiti dal barbiere: farsi una cultura ai tempi della guerra



Lo ammetto. Io dei salafiti non so niente. E nemmeno dei wahabiti. C’è da vergognarsi per questo? Ebbene me ne vergogno e tanto anche. Però basta, non se ne può più. Ma chi l’ha detto che solo per il fatto che mi chiamo Mohamed, chi l’ha detto che debba sapere tutte 'ste cose qua: salafiti, wahabiti, sunniti, sciiti… E poi un'altra cosa: io di Islam ne so quanto voi. Non sono un Fkih, non sono un teologo, non sono un esperto del sacro Corano.

 
Non è sempre stato così. C’è stato un tempo che bastava dicessi che durante il Ramadan non si mangia dall’alba al tramonto, che noi musulmani preghiamo 5 volte al giorno rivolti alla mecca, che da noi uno può sposarsi ben 4 donne, ed era fatta. Bastava questo per risvegliare nelle donne fantasie ardite e stupori esotici nelle anime candide.
Adesso è tutto più difficile.
Anche il più malandato dei frequentatori del circoli Acli ne sa più di me. E mi parla con lo stesso piglio e perizia del derby di ieri sera e di Al Jazeera; della differenza tra Niqab, hIjab e delle varie correnti dell’Islam.
 
È stato dopo l’11 settembre che la gente ha scoperto questo improvviso amore di conoscenza verso le cose dell’Islam, gli arabi e il Medioriente. E ho la netta sensazione che ad ogni nuovo atto terroristico, ad ogni bombardamento degli americani in Iraq, Afghanistan e quelle parti lì, la gente diventi sempre più ferrata in materia. Quasi che questi atti sanguinari o bellici che siano fossero una sorta di incentivo culturale. Ora, per carità, che la gente si faccia una cultura non c’è niente di male, solo che io magari non disdegnerei nemmeno i tempi di pace per acculturarmi.
 
Mi sembra anche che l’arabo come lingua, sempre dopo gli attentati dell’11 settembre, sia in rispolvero. E anche in questo caso mi sembra ci sia una qualche correlazione fra l’intensificarsi dei kamikaze che si fanno saltare in aria, i bombardamenti dei droni e il fiorire di nuovi corsi d’arabo. Certo è risaputo che le guerre fanno riprendere l’economia. Quello che sospettavo meno è che anche l’economia culturale fosse inclusa in questo processo.
 
Questa sorta di orientalismo macabro ha preso ora nuovo slancio con le cosiddette Primavere arabe.
Ad un tratto, dopo che il povero Bouazizi si è immolato, tutti, dalla mia fruttivendola al mio barbiere, all’anziana in fila al discount, tutti si sono messi a parlare di Cirenaica, del Colonello Gheddafi e delle sue tribù, di Egitto e di Piazza Tahrir, con insolita cognizione di causa.
Insomma ormai la gente sa tanto di Iraq, Iran, Libia, Egitto, Yemen tanto quanto ne sa di Avetrana. Non sono più luoghi lontani e misteriosi come una volta. E non possiamo non riconoscere a Vespa e ai suoi ospiti la loro parte di merito in tutto ciò. Grandi divulgatori di queste tematiche sono anche la defunta Oriana Fallaci e Magdi Allam. Se tutti ora sanno chi sono i wahabiti e i salafiti è anche merito loro.
 
Io, per quanto mi chiami Mohamed, mi son sempre tenuto lontano da questi argomenti. Li consideravo roba da geopolitica, con tutto il grigiore che ciò implica. Invece si tratta solo di cronaca nera. La gente si appassiona a Bin Laden o a Saddam Hussein come a Una Bomber. E fra non molto lo stesso si potrà dire di Bashar El Assad. Fra non molto, infatti, nelle bocciofile di tutt’Italia si saprà tutto della Siria come si sa tutto ora di Avetrana. Ed è molto probabile che le news sul medio oriente passino direttamente dalle pagine di Repubblica a quelle dei più diffusi rotocalchi tipo Cronaca Vera e simili.
 
Comunque ho deciso: non posso sempre fare scena muta, dal mio barbiere, quando si affrontano questi argomenti. Lo leggo nei suoi occhi come in quelli degli altri clienti, c'è una certa delusione. Quando tirano le parole salafiti e wahabiti mi guardano ed è come se si aspettassero da me delle precisazioni, maggior ragguagli, e più incisivi, su queste tematiche. Io li guardo, faccio cenni con la testa: come per dire "sì è come dite, però le cose son più complicate di quel che pensate".
Ma non potrò sempre cavarmela così, devo decidermi di frequentare di più Wikipedia.

(esca)recensione: Roberto Guglielman fotografie


Riflessi nelle fotografie di Roberto Guglielman

di Iolanda La Carrubba

 

Si muovono mondi di destrutturazioni ottiche, nelle inquadrature nitide con i soggetti a mezzo fuoco che vivono in essa. In questi luoghi illusori e frangibili, tutto domina la percezione della stasi facendola vibrare di altra vita, una vita fatta di fotogrammi. L’immagine tangibile si impadronisce dell’invisibile, dei mondi del fotografo.

Là dove si esige una “caccia al soggetto” ecco che lo stesso evapora nella fantasia di Roberto Guglielman, al punto tale da tramutarsi in altro, nella soggettiva propria del pensiero dell’autore.



Negli ambienti del “sentire” di Roberto, la forma è impercettibile, come racchiusa in una bolla di sapone e nel guardare il viaggio della sfera in questi mondi romani, sembra di riascoltare la poesia del Trilussa che suggerisce:

“…ner vede quela palla cristallina/che rispecchiava come una vetrina
tutta la robba che ciaveva intorno…”
poi continua “…la maggior parte de le cose,sta chiusa in una goccia...”
 
 
La goccia così come una lacrima piena di contrastanti sentimenti , imprigiona l’eterno 
attimo del vero, per elargirlo rimodellato all’arte per un mondo vasto, vestito di momenti.
Il contatto veritiero che Roberto Guglielman cerca nei suoi scatti attraversando la vita, 
prende una forma nuova, una dimensione incontaminata ma esatta fatta di orizzonti mutanti e mutabili, nei quali si percepisce una volontà di trovare certezze.
“L’arte vola intorno la verità, ma con la ferma intenzione di non bruciarsi. La sua abilità 
consiste di trovare un luogo, nella vuota oscurità, in cui il raggio di luce, senza che prima sia stato possibile accorgersene, possa essere catturato in tutto il suo vigore.” (Franz Kafka)
 
 
La fotografia si anima del patos dell’artista, assorbe, emana, possibilità e meditazioni 
simbiotiche, colte ma allo stesso tempo disinvolte e disimpegnate dal ruolo politico a cui lo scatto fotografico  spesso è sottoposto.
 

 

 

(esca)Vacancy: Sarah Panatta


Vacancy. I sogni segreti di Ben Stiller

A cavallo di un americanissimo “vorrei ma non posso”, anzi non è “mio”

Di Sarah Panatta

“Ground control to Major Tom…”. Si entra e si esce dalle stesse porte, ispezionando ammirati le stelle da una capsula lontana. Major Tom vive sulla soglia, ferisce lo spazio-tempo, lo spazio del suo tempo e cavalca la barriera della paura. È la sua “stranezza”. Il volo gravitazionale intorno alla cecità coatta del mondo. Non importa dove sia arrivato, ma che lo abbia fatto.

Parafrasando ancora l’eversione ironicamente poetica del giovane Bowie – al di là della sua intenerita e allora quanto mai tempistica e perfino cinefila “space oddity” – quando decidiamo di vivere i sogni che tappezzano la nostra “vita segreta”? Che alimentano il nostro Ego vero e inguaribile, quasi sconosciuto, perché inascoltato, avvizzito sotto cumuli di reticenze, convenienze, colpe deviate.

Può un editor che viaggia verso il licenziamento superare la modernizzazione ferale della sua rivista, il torpore del proprio ceto, entrare vittorioso nel cosmo 3.0 con un’identità integra e nobilitata e scrivere da solo il proprio giorno attraversando il planisfero come pedina impazzita, da ghiacci a rocce, per finire dietro l’uscio della donna che già aveva “trovato”? Nonostante il titolo originale accattivante (dal racconto letterario del scritto da James Thurber nel 1939) e la complicazione tautologica del titolo italiano, I sogni segreti di Walter Mitty non risponderà alle domande succitate. Perché anche Ben Stiller, attore protagonista e regista (ripescato e sostituito al prescelto gargantuesco Jim Carrey, dopo quasi venti anni di tira e molla delle major produttive, e di numerosi rimaneggiamenti sullo script iniziale) resta a galleggiare in orbita, e non può “farci niente”. Scientificamente educato all’intrusione della spettacolarità artificiale nella visione intima dell’autore/fruitore e sostenuto da un budget da cine-panettone hollywoodiano, Stiller ruba troppo margine alla sua demenzialità sana e deliziosa, dandosi anche qui al polpettone da botteghino facile.

Scenari HD da desktop, fotografia tronfia, laccatissima dal siderale nitore del digitale, barocchismi di una regia che diventa puro surplus. All’estro naif e sardonico del piccolo grande nerd, Stiller/Mitty è/ha lasciato pochissimo agio, tranne i sipari da parodia fumettistica e il lampeggiante sguardo sospeso di un uomo/autore/attore che non è ancora completo. Carne allenata dell’uomo medio americano che evade continuamente dal suo steccato tarlato pur volontariamente inchiodato all’idea rassicurante e orgogliosa dello stesso steccato. Stiller si avvinghia al ruolo di regista-interprete debordato e asfissiato, abbandonando la brillante possibilità di una scrittura che saprebbe scarnificare il contemporaneo con foga e grazia. Stiller conosce l’uomo-torta pasciuto da affetti disfunzionali, l’uomo-grafico da statistica pre elettorale, l’uomo-topo da auto familiare nel cortile ben potato. Eppure non si lancia mai dalla navicella, non sgrana gli occhi sull’ipocrisia di sogni imperialistici nazionali e sulle miserie titubanti dell’uomo-medio reale. Abbraccia l’ennesima storia retrospettiva, all american, zuccherosa e adatta ai toni retoricamente imbalsamati di un nuovo (mal imitato) Capra.

“Can you hear me Major Tom?”

(esca)Poesia: Paolo Carlucci

Salmo d'avvento

di Paolo Carlucci


Sandali di vento
le mie preghiere
cavalli di pensieri

oggi d'avvento le nubi
spalancano il nero di china
di una nascita stupita
tra le palme della neve

(esca)Poesia: Lorenzo Poggi

I poeti hanno fame
di buchi di reti,
di pezzi di cielo....
Ricordano agli altri
che si può andare
oltre lo sforzo
di essere vivi.

(esca)Poesia: Sarah Panatta


Inediti del post natale
di sarah panatta
 
 
 
Canto di Natale (del cinepanettone)

 
Saccheggiato muoio

cartolina per esotiche finzioni

contenitore scaduto s-candito

precipitazione di marchette

feudo monolitico, rifatto, avvilito

 

Profumo adulterato

facce televiste webcliccate

google garantite,

abdico al nuovo principato

rampante casuale già esaurito

 

Lunga vita al cine-polpettone

Proteina artificiale

Cedo il passo,

il pasto,

ferale

 

Old au-dience (canto di Natale II)

 

Sempre più old

Tre per Due nella quarta Dimensione

Saldi di Fine secolo a inizio millennio,

allo schermo l’uomo-audience annusa

il trogolo dell’immaginario

Rimpasto smerciato

cine digressione cine marchio cine esposizione

Il corpo del Muto balla (di nuovo)

tra le fauci dei botteghini

tiptap senza testa

Mentre l’audience, sempre più old,

reclama bulimico ancora festa

Sinapsi ventrali o diverticoli cerebrali,

no, non comanda il desiderio, estinta l’empatia, la catarsi

stritolata, nell’ultima dopata trilogia

Sentirsi in serie, audience sempre più old

uomo-audience ama solo vedersi,

impacchettare spacchettarsi

Uomo-audience è solo, solo incarto

Carta regalo infranta stropicciata digerita

abbandonata prima (o dopo?) il riciclo,

sugli schienali della visione recidiva

Carta vetrata distratta

parata, sugli spalti della visione casualmente additiva

Controllata at-trazione

l’audience prende posto e perde spazio,

o prende spazio perdendo posto

Numerata sede la coscienza

dal jingle (bellico) rimorchiata,

rosicchia

zalone de sica allen stiller

stille, senza sangue,

senza scelta

eppure fu data?

Sempre più

old

(esca)Poesia: Tiziana Marini


SUL CUORE DI MIA MADRE

 

 

 

 

LA MIA STANCHEZZA

 

 E’ SACCO GRAVIDO,

 

UNA SFERA

 

UN’AURA IMMORTALE

 

CHE TOCCO CON LE DITA

 

COME UN CAPELLO

 

SCESO SULLA FRONTE.

 

MI SDRAIO SULLA TERRA

 

A RIPOSARE,

 

LA SCHIENA SUL CUORE

 

DI MIA MADRE.

 

 

 

 

NULLA CHIEDO

 

SE NON ESSERE ANCORA

 

E PER QUESTA NUOVA VITA

 

CHE MI E’ DATA,

 

E BATTE FORTE,

 

METTERO’ RADICI

 

DI EDERA E LENTISCO.

(esca)Poesia: Daniele Coltrinari


Fuoco

Di Daniele Coltrinari - giornalista e blogger
(inedita)

 

“A Caroline”

 

Il fuoco che hai acceso,

l’incendio ha devastato le mie arterie, i miei sensi,

questo freddo brivido!

 

Torna, ancora, torna con la tua presenza, la tua essenza

torna caro dolce fuoco!

 

Indomabile, Irrazionale, Progressista

E nient’altro, solo parole…

Solo celestialmente fuoco.

 

Auguro a tutti un focolaio, dove

Ardere, bruciarsi, incendiarsi fino

All’ultimo respiro, fino a che il fuoco sia acqua,

fino alla fine e così…

INTERMINABILE.

(esca)Poesia: Davide Cortese

Ho una lumaca che segna il mondo con la sua bava di luce.
Ho una foglia che una sola volta lascerà l’albero per la terra.
Ho un sasso che è stato scelto per una strada di paese.
Ho una medusa che danza la sua bruciante trasparenza.
Ma non so, io non so qual è la mia.
Non so qual è, ma c’è una mia lumaca qui,
e segna strade di luce in questo mondo.
Ho una nuvola indaco non ancora madre di piogge.
Guardo il cielo, io, e non so qual è la mia.