martedì 1 ottobre 2013

(esca)Recensione-Patrizia Pallotta

“Nomade”
Poesie di Massimo Pacetti
 
Il testo poetico di Massimo Pacetti dal titolo “Nomade”, riporta alla mente un ideale  quadro
dove poter trarre sogni, acquerelli di paesaggi incantati, favole, ricordi, viaggi partoriti da animo
fervido, che conosce tutti i lati di quel poligono che è l’esistenza.
E’ senza dubbio una valutazione positiva a fronte di un’opera complessa ed emozionale nel
contempo.
Il poeta è, l’unico vero pittore che vaga proprio come “nomade”, raccontando e raccontandosi
 fra passaggi di nude verità.
E’ cronista attento e nulla sfugge al suo sguardo avvezzo alla profonda conoscenza  d’ogni realtà.
Gli incroci fra i i temi che Massimo Pacetti propone in modo garbato,  sono vari e provengono da
una   poetica e  toccante rivelazione.
In essi tutto vive, palpita, ma non si disperde , sebbene l’armonia del cuore del poeta, ritrovi al
termine del percorso, la  chiave giusta per poter vivere fra ideali e  concretezze.
Ognuno di noi sa come fare i conti con la forza interiore. Massimo Pacetti non vuole insegnare
o suggerire, ma attraverso la lettura delle poesie, risulta evidente quanto sia simile e vicino
il nostro pensiero al suo.
Spesso accade che poeti e scrittori, sappiano con destrezza e talento dare la visione esatta
di quello che vive nella nostra interiorità ; leggerlo, colpisce e alleggerisce il peso della solitudine,
questo, il momento magico dove si insinua il sogno..
I sogni per il poeta sono abiti vecchi, usati, sebbene fossero ,in tempi diversi, nuovi e pieni di colore.
Sogni che vagano nel cuore e non possiamo sapere se torneranno ad essere abiti nuovi o
dimessi.
Bellissima e intensa la metafora che Massimo ci regala nella poesia  “I Sogni”,la chiusa della quale 
 è …”non sai se verranno o partirai da solo”.
Dal sogno, il tracciato di Massimo affronta il senso dell’amicizia, vissuto dall’autore con estrema
nostalgia.
 Quel passato remoto  riporta l’’immagine di persone amiche che si soffermavano a parlare
 dei loro interessi, a commentare i fatti del giorno, ed esprimere liberamente le idee con la serenità
nel cuore e la vivida luce di segrete speranze.
Oggi è solo un correre”…si va di fretta ,abbiamo sempre qualcosa da fare”. Grande verità a grande
dono da parte di Massimo di saperlo condividere e di aver preso consapevolezza anche di questo aspetto
del cambiamento esistenziale.
E’ da sottolineare fra queste pagine poetiche, come tema ricorrente, la visione della “fine della vita”.
Massimo, non si dilunga a parlarne, ma fa capire quanto sia presente nei suoi pensieri e quanto spesso si senta sfiorare dal suo freddo alito.
Nella poesia “Universo separato”, Massimo Pacetti  elabora questi versi …E’ indistruttibile la morte/
lascia sempre qualcosa, ai vivi/ fossero solo ceneri…la morte è la realtà che vive ogni giorno.
Nella lirica “ Il grano” l’afflato dell’esistenza nell’assaporare il profumo intenso del grano, fa compren-
dere cosa sia l’ultima fermata verso la quale ci dirigiamo.
Persino in “Raggi bianchi”, colpito da un onda “immensa e scura”, aggrappato  alla difficoltà della
resistenza, per risolverla, Massimo dall’uscita dal buio tunnel, ritrova la vita e dice …”ora posso finalmente addormentarmi senza morire”.
Bellissimo  questo suo affrontare le sfide e la sensata capacità  di averle in  qualche modo combattute,
tanto da creare nella sua anima la sensazione della potente energia interiore, che persino la morte
non è più frutto di paura .
Egli esce dalle esperienze rafforzato, più  partecipativo, temprato e pronto a rimettersi in gioco.
E’ in “un’altra strada” che esprime questo concetto in modo più esplicativo regalando questi versi :
I campi minati della vita/ non finiscono mai/ bisogna imparare ad attraversarli/ senza saltare in aria,
e ancora …”dove tutto è incerto/l’esistenza è incerta/ e l’unica certezza/ e che sei ancora vivo/ e
puoi guardarti intorno/ e scegliere la strada/ sulla quale incamminarti…”
E’ continuativo lo sguardo di Pacetti  nel passare da un valore vitale all’altro, di volare fra una sensazione e
un’affermazione matura perché vissuta in prima persona, per emozionarci nella lettura dei suoi versi.
Nello scrutare il mondo, egli ne vede anche la parte folle e negativa che respiriamo ogni giorno,
nell’interagire con chi e ciò che ci circonda.
Massimo Pacetti, uomo colto e sensibile, sa comunque, cogliere tutti i lati  della dimensione umana
con linguaggio educativo, ma anche stupito.
Le poesie sono simili a fotografie, alcune sviluppate, alcune rimaste negative, come domande delle
quali non si conosce la risposta.
Forse si può cambiare, sostiene il poeta, quello che noi stessi abbiamo inquinato con il nostro egoismo, con le nostre misere virtù, ed arrivare al miele della conoscenza  che ci è negata di sapere , o quanto meno
aiutarci con il “Credo” da sgranare ogni giorno mentalmente.
Il poeta lo propone, mentre recita nei suoi versi il disagio dell’anima e l’effimero da contrastare.
Nell’interrogarsi,  Massimo, esprime il suo pensiero sulla caducità e sul mistero della vita,
nella poesia “Frammenti”, che ha come incipit “Non so perché viviamo”, ritorna il pensiero della
morte, ed insieme la bellezza del creato, in antitesi quindi, per portarci alla riflessione della dolcezza
che assaporiamo, e del nulla che siamo, in attesa di cosa?
Noi piccoli dentro un mondo infinito di cui non si conosce la fine e neppure l’inizio; ecco perché definisce la specie umana come “frammenti” mentre l’eternità è solo universo…”quello è Dio “.
Una vera e propria recita di fede questo splendido riverbero di luce che fa vibrare l’anima.
Il suono che accompagna tutte le poesie  ha un suo ritmo, che spesso cambia, diventa più forte
o più debole, amalgamandosi al tema proposto.
Non manca il valore dato allo spazio e al tempo. Qui i versi vagano fra geometrie di oggetti e
geografia di “ cose, tante cose, troppe, così come Massimo rivela nella poesia “Spazio e tempo”
tanto da sommergere gli uomini.
Il  “ cantore” degli anni spensierati si contrappone a quello che prova le prime delusioni, fino a
toccare la voglia  di essere un “pagliaccio”, di vestire i panni dove poter nascondere la propria
vergogna di essere e sentirsi soprattutto uomo; il mimetizzarsi gli dà sicurezza e l’abbandono
nei panni di un pagliaccio supera il disagio di un istante.
Come un uomo in cammino su strade bianche o asfaltate, Massimo Pacetti continua  fra piccoli flash
sulla sua terra d’origine, quel tracciato nomade che lo porta ovunque.
 Le tematiche profondamente trattate, non solo nascondono la visione graffiante e reale del creato, ma
contengono la sensibilità concettuale della ricerca della libertà interiore che fa da sfondo al proscenio
dell’anima del poeta.
Questa la vera chiave per meglio addentrarsi nell’universo di Massimo?
La voce e il canto dell’autore risuonano in armonia nel riflesso di una filosofica contemplazione
delle cose, che porta ad una universale  e personale verità.
Nella poesia “Occhi curiosi”, Massimo asserisce “…è facile giudicare/ma la verità/ non è quella che pensi”.
Egli, prende la sua strada, ignorando la pochezza cha avvolge il mondo, come dentro un cumulonembo,
ed esce da quel guscio  che opprime  qualunque pensiero, accompagnandolo dalla voglia di sconfiggerlo, di lasciare dietro le spalle il marcio umano e  codificare  la parte migliore che ci appartiene,un ristoro ,una certezza e la   solitudine mai cercata, ma che spesso si impossessa  dell’autore, mettendo in gioco il suo equlibrio.
La simbiosi fra il poeta e la solitudine a volte svelata, a volte metaforizzata, arrivano al  canto
d’amore sublimato e eternizzato come i suoi stessi versi esprimono …”Solo l’amore è una/ realtà
che nessuno/ può negare o annientare/ tutto il resto è/ posticcio, precario, instabile/ nessuna conquista rimane/ sul corpo, nell’anima/ nello spirito ,nella mente / tutto passa, scorre / è effimero e nel/ tempo fa sorridere.
Ecco , dunque il poeta ha trovato la sua chimera.
Sarà solo questo l’appiglio per continuare  a camminare nell’altalena vitale? O diversamente il poeta sogna ancora e crede  nella libertà, nella sua personale libertà, che egli stesso definisce “nomade?”
Come ogni “errante”, finalmente libero da qualsiasi orpello, da ogni ipocrisia  Massimo prende la strada che
gli permette di non badare, all’oppressione imposta, come se fosse un “modus vivendi” da rispettare  e da un comportamento  vincolato all’incertezza.
La sua scelta è visibile , quella scelta nella quale  Massimo mette il lettore a conoscenza nella chiusa della
sua ultima poesia che dà il titolo all’opera  :
Incontro a…” quella montagna/ di luce dove/ non fa mai notte/ e dove per raggiungere/ la vetta bisogna/
non avere paura/.
Il suo pennello è stanco, si ferma, il quadro è stato dipinto con tante prospettive diverse, lo si può
ammirare in ogni luogo, e soprattutto nell’amore che …E’ il cammino della Terra che/ogni giorno rinasce/ e gira, gira, gira…
 

Patrizia Pallotta  Giugno 2013

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