domenica 1 settembre 2013

(esca)Recensione: Enzo Minarelli-POETRY-MUSIC-MACHINE


LA SACRA TRINITÀ, POETRY-MUSIC-MACHINE

 

 

di Enzo Minarelli



Ascoltando in queste giornate agostane invero un po’ troppo roventi, [da sempre il periodo che io dedico all’ascolto di opere accumulate nei mesi precedenti], il lavoro di Marco Palladini, pensavo che fin dal titolo, l’autore mette le carte in tavole, gioca a carte scoperte, mette insomma le cose in chiaro: c’è Lei, la Poesia qui definita in anglosassone Poetry [poteva restare l’italico vocabolo, non cambiava nulla], poi viene Music e infine buon ultimo, Machine.

L’ordine mi pare quello giusto, prima viene Lei, il nostro autore ha, come si suol dire, il cuore gonfio, deve togliersi parecchi sassolini dalle scarpe, e li snocciola con una insolita rabbia fino in fondo, correndo tutti i rischi del caso. La Poesia viene prima, però lo stile scelto per allentare la sua tensione esistenziale, è asciutto, pochi fronzoli, poche concessioni al superfluo, mira dritto a quello che deve dire e lo dice in fretta, quasi di corsa.

Poi la Musica, un gradino più sotto, correttamente ricopre come io amo dire [senza voler riprendere un noto punto del mio Manifesto della Polipoesia 1987, Valencia], un ruolo deuteragonista, mai invadente, ritmica al punto giusto, quasi un fruscio di sottofondo, una easy-music, se mi si passa il termine, che, a ragione, lascia libero spazio al protagonismo della voce, alla oralità palladiniana.

Non a caso ho impiegato l’aggettivazione palladiniana, perché se ha un merito la sua voce, è proprio quello di non irrigidirsi su una monotona tonalità, come invece purtroppo succede in molti casi quando spunta la musica a supporto del testo letto, infatti, le sue non sono letture nel senso classico, ma vere performance dove, come direbbe il caro e compianto Edoardo Sanguineti, la poesia è sempre la soluzione ad un problema, e il Nostro si pone di volta in volta il problema del come formulare il testo, operando variazioni sia timbriche che tonali, in questo aiutato alla perfezione dal terzo elemento la Machine, ovvero l’hardware, il computer, la dotazione informatica; sapientemente li sfrutta attraverso shape predisposti, anche ricorrendo a filtri modulari che per forza galvanizzano la sua voce, la impregnano di quella vis elettronica che discendeva una volta dal sistema analogico ed ora da quello digitale.

 

Se a qualcuno di voi capita di avere tra le mani questo libretto con CD accluso, consiglierei di ascoltare subito la performance orale, senza leggere il testo che ridurrebbe di molto l’effetto-sorpresa, naturalmente guai a chi usa la scrittura poetica come fosse un libretto per l’opera. Non solo, seguite il mio consiglio, non iniziate la sessione di ascolto dalla n. 1, un po’ come per il grande poema di Edgar Allan Poe [Il Corvo], si inizia dalla quartultima stanza che è quella che il poeta di Richmond ha scritto per prima, oppure come per quell’immenso ed insuperato capolavoro Rayuela, Julio Cortázar indicava una precisa sequenza di lettura che non corrispondeva al solito schema progressivo, qui capita la stessa cosa: io suggerisco di iniziare dalla numero 8 perché qui sentite subito il corpo-voce [se preferite la voce-corpo] del poeta, sentite palpabile l’anima orale, lo stridore nitido della performance senza interferenza alcuna, come guardare le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo {il mio compleanno!} stesi lungo un campo o su un colle, lontano dalla artificiosità delle luci urbane. Poi andrei alla  numero 6 perché rende bene il solco che tutto il CD seguirà, appare la musica come detto, ed è ovvio l’omaggio alla Beat Generation, proprio Kerouac ha utilizzato il jazz come accompagnamento, lo stesso Ginsberg durante quegli iperaffollati reading al Cellar di San Francisco nei primissimi anni Cinquanta. Va da sé ammettere che anche il Nostro si inserisce con piglio autorevole in questa tradizione che già annovera, in suolo italico, illustri precedenti vedi le coppie Balestrini-Cinque, Voce-Fresu, oppure, molto più modestamente, da citare anche la collaborazione di chi scrive con Ares Tavolazzi, il bassista degli Area. Poi proseguirei con la numero 4 che richiama proprio Charlie Parker, il nume musicista dei Beats, poi la 3 e la 2 che hanno un forte impatto comunicativo, la voce assume un’impennata autorale, quasi da tribuno. Dopo l’ascolto della 2, potete procedere liberi, facendo però attenzione a terminare assolutamente non con la 14 ma con la 10. Il pezzo Decollare…Decollarsi è una vera perla nell’insieme del CD, sicuro risente della mano di Luca Salvadori che ha gestito non la musica, ma la musicalità, in maniera intelligente facendo risaltare ancor più la robusta oralità, questo pezzo è un breve inno a Sua Maestà la Ripetizione che come direbbe un filosofo francese [Gilles Deleuze] è sempre “simbolica nella sua essenza”, e qui occorre davvero, scollarsi, scrollarsi di dosso tutta la zavorra asfissiante della mediocrazia (neologismo coniato da Dick Higgins), per tornare ad auscultare la purezza dei suoni, delle parole e perché no anche dei rumori [R. Murray Schafer docet!].

 

 

agosto 2013, Pianura Padana

Nessun commento:

Posta un commento