di Enzo Minarelli
Ascoltando in queste giornate
agostane invero un po’ troppo roventi, [da sempre il periodo che io dedico
all’ascolto di opere accumulate nei mesi precedenti], il lavoro di Marco
Palladini, pensavo che fin dal titolo, l’autore mette le carte in tavole, gioca
a carte scoperte, mette insomma le cose in chiaro: c’è Lei, la Poesia qui definita in
anglosassone Poetry [poteva restare l’italico vocabolo, non cambiava nulla],
poi viene Music e infine buon ultimo, Machine.
L’ordine mi pare quello giusto, prima
viene Lei, il nostro autore ha, come si suol dire, il cuore gonfio, deve
togliersi parecchi sassolini dalle scarpe, e li snocciola con una insolita
rabbia fino in fondo, correndo tutti i rischi del caso. La Poesia viene prima, però lo
stile scelto per allentare la sua tensione esistenziale, è asciutto, pochi
fronzoli, poche concessioni al superfluo, mira dritto a quello che deve dire e
lo dice in fretta, quasi di corsa.
Poi la Musica , un gradino più sotto,
correttamente ricopre come io amo dire [senza voler riprendere un noto punto
del mio Manifesto della Polipoesia
1987, Valencia], un ruolo deuteragonista, mai invadente, ritmica al punto
giusto, quasi un fruscio di sottofondo, una easy-music,
se mi si passa il termine, che, a ragione, lascia libero spazio al protagonismo
della voce, alla oralità palladiniana.
Non a caso ho impiegato
l’aggettivazione palladiniana, perché
se ha un merito la sua voce, è proprio quello di non irrigidirsi su una
monotona tonalità, come invece purtroppo succede in molti casi quando spunta la
musica a supporto del testo letto, infatti, le sue non sono letture nel senso
classico, ma vere performance dove, come direbbe il caro e compianto Edoardo
Sanguineti, la poesia è sempre la soluzione ad un problema, e il Nostro si pone
di volta in volta il problema del come formulare il testo, operando variazioni
sia timbriche che tonali, in questo aiutato alla perfezione dal terzo elemento la Machine , ovvero
l’hardware, il computer, la dotazione informatica; sapientemente li sfrutta
attraverso shape predisposti, anche
ricorrendo a filtri modulari che per forza galvanizzano la sua voce, la
impregnano di quella vis elettronica che discendeva una volta dal sistema
analogico ed ora da quello digitale.
Se a qualcuno di voi capita di avere
tra le mani questo libretto con CD accluso, consiglierei di ascoltare subito la
performance orale, senza leggere il testo che ridurrebbe di molto
l’effetto-sorpresa, naturalmente guai a chi usa la scrittura poetica come fosse
un libretto per l’opera. Non solo, seguite il mio consiglio, non iniziate la
sessione di ascolto dalla n. 1, un po’ come per il grande poema di Edgar Allan
Poe [Il Corvo], si inizia dalla
quartultima stanza che è quella che il poeta di Richmond ha scritto per prima,
oppure come per quell’immenso ed insuperato capolavoro Rayuela, Julio Cortázar indicava una precisa sequenza di lettura
che non corrispondeva al solito schema progressivo, qui capita la stessa cosa:
io suggerisco di iniziare dalla numero 8 perché qui sentite subito il
corpo-voce [se preferite la voce-corpo] del poeta, sentite palpabile l’anima
orale, lo stridore nitido della performance senza interferenza alcuna, come
guardare le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo {il mio compleanno!}
stesi lungo un campo o su un colle, lontano dalla artificiosità delle luci
urbane. Poi andrei alla numero 6 perché
rende bene il solco che tutto il CD seguirà, appare la musica come detto, ed è
ovvio l’omaggio alla Beat Generation,
proprio Kerouac ha utilizzato il jazz come accompagnamento, lo stesso Ginsberg
durante quegli iperaffollati reading
al Cellar di San Francisco nei
primissimi anni Cinquanta. Va da sé ammettere che anche il Nostro si inserisce
con piglio autorevole in questa tradizione che già annovera, in suolo italico,
illustri precedenti vedi le coppie Balestrini-Cinque, Voce-Fresu, oppure, molto
più modestamente, da citare anche la collaborazione di chi scrive con Ares
Tavolazzi, il bassista degli Area. Poi proseguirei con la numero 4 che richiama
proprio Charlie Parker, il nume musicista dei Beats, poi la 3 e la 2 che hanno
un forte impatto comunicativo, la voce assume un’impennata autorale, quasi da
tribuno. Dopo l’ascolto della 2, potete procedere liberi, facendo però
attenzione a terminare assolutamente non con la 14 ma con la 10. Il pezzo Decollare…Decollarsi è una vera perla
nell’insieme del CD, sicuro risente della mano di Luca Salvadori che ha gestito
non la musica, ma la musicalità, in maniera intelligente facendo risaltare ancor
più la robusta oralità, questo pezzo è un breve inno a Sua Maestà la Ripetizione che come
direbbe un filosofo francese [Gilles Deleuze] è sempre “simbolica nella sua
essenza”, e qui occorre davvero, scollarsi, scrollarsi di dosso tutta la
zavorra asfissiante della mediocrazia (neologismo coniato da Dick Higgins), per
tornare ad auscultare la purezza dei suoni, delle parole e perché no anche dei
rumori [R. Murray Schafer docet!].
agosto 2013,
Pianura Padana
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