RUMORE DI FERRO
Ancora notte.
La luce dei lampioni riflette sui binari bagnati, rimbalza
negli occhi,
disegna sagome nere in controluce, gioca, si dilegua
nell’ombra;
una stazione alle prime ore del mattino è un paesaggio
fantasmagorico. Irreale.
Il fischio del treno in arrivo mi
scuote, è un doloroso risveglio, l’umanità si accalca
per conquistare l’entrata; azioni
meccaniche ogni mattina.
Centinaia di marionette manovrate
dall’alto.
Il treno è caldo, un caldo malaticcio
e maleodorante ma caldo, fa piacere. Cercare un posto, trovare
un posto accanto al finestrino,
accoccolarsi - un rito, una dimensione familiare,
la sensazione di essere a casa,
un’altra casa
fuori casa.
Le abitudini ci rassicurano, sono il bozzolo che ognuno
tesse attorno alla propria vita.
Ci si guarda intorno: visi, occhi, sguardi
distratti, curiosi, indifferenti, visi nuovi
ma soprattutto conosciuti, visi
conosciuti di gente sconosciuta.
Clang-clang - rumore di ferro. Il treno si
muove.
Riparte; chi ha trovato un posto
è già al suo posto. I visi scompaiono, i libri si aprono;
ci si nasconde.
Si cambia con l’età, una volta
l’occasione di parlare con qualcuno era un modo per comprendere,
due occhi capaci di comunicarci
qualcosa; simpatia, un’emozione - poi si cresce,
si chiude il mondo
fuori.
Il libro di antropologia fra le
mie mani è così interessante! Ma io non riesco a concentrarmi,
mi distraggo, ho la testa
altrove, oltre
flashback dal finestrino
l’immagine dei caseggiati ha
lasciato il posto alla campagna, i ricordi
si ammantano di nostalgia, i
colori sfumano nel rosso del cielo che albeggia.
Mille trine di brina sul verde,
un manto di vapori acquei si alza sottile,
una coperta di piume stesa sul mondo,
leggera, impalpabile.
Nella mia mente il ricordo di
un’emozione,
leggera, impalpabile;
una certezza mattutina, lo
specchio di fronte a me che restituisce il mio sguardo… un altro mondo eppure
il mio.
Un’esperienza che diventa
familiare come la ricerca del posto, l’accoccolarsi al caldo,
un libro aperto - tu.
rassegnata, ormai senza più posti
a sedere. Ci si chiude di più, nei pensieri, nel paltò
per scacciarla fuori, la folla -
in piedi, ondeggiante, rumorosa.
Le costruzioni ricompaiono,
brutte, spietate, cemento su cemento.
La campagna tagliata,
sezionata, smembrata, divorata
dai cannibali del mio libro. E’
inverno,
è una strana alba che sembra sera
e non ci sono papaveri sulle
rotaie
e non ci sei tu di fronte a me.
Il buio della galleria spegne le
immagini e i miei pensieri,
ascolto.
Rumore di ferro.
Staccando lo sguardo bruscamente
dal finestrino si incontrano
altri sguardi,
tutti all’unisono - per qualche secondo;
si abbozza un sorriso, si
accolgono dettagli di discussioni animate:
una vicina pettegola, una partita
di calcio,
si scorge un’espressione
irritata;
l’umanità! Ondeggiante,
eterogenea.
Nell’ultimo tratto i caseggiati
si allontanano, si allargano ai lati,
come separati da una forza
misteriosa.
Al loro posto, i binari,
aumentano, invadono, sfrecciano
in tutte le direzioni, finché
tutto
tutto: case, persone, pensieri e
binari non viene inghiottito
dalla stazione –
Ferro.
Ricordi di arrivi, di attese, di
partenze,
- la sabbia scorre -
di mani, di valige, di gambe
“devo aver rimandato qualcosa,
qualcosa di molto importante”
la sabbia scorre, la valigia è
vuota,
il binario è morto.
La stazione è un tempio.
La stazione è un’onda che spinge
al largo.
Chiara Mutti
Un'immagine, un bellissimo e realistico squarcio, a tratti desolante e triste, sulle tante solitudini (centinaia di marionette manovrate dall’alto) immerse nella moltitudine che quotidianamente si affrontano e si trovano a condividere uno spazio forzatamente comune - il treno -
RispondiEliminaComplimenti anche che per la poesia che chiude il testo.
Monica
Grazie Monica per la tua nota, dimostri come sempre una grande sensibilità e attenzione per la vita degli altri...per la vita che ti circonda e che sai così prontamente riconoscere!
Elimina