martedì 2 luglio 2013

Vacncy: Domenico Donatone

«Io e… ma questa non è un’altra storia» di Isabella Astorri.
Articolo e intervista a cura di Domenico Donatone
Isabella Astorri è stata una bella scoperta. Le migliori conoscenze sono quelle che si fanno senza troppi preliminari. Vedi una persona e ti piace. Funziona nella letteratura così come nella vita.
Isabella Astorri è autrice di un libro dal titolo «Io e… ma questa non è un’altra storia» (pp. 141, € 13,00; 2013), edito da Il Bene Comune, una piccola casa editrice di Campobasso che si sta affermando nel tempo. L’impaginazione del libro è ben fatta, la copertina è suggestiva – Tete d’una femme lisant di Pablo Picasso –ma ancor più degno di nota è, ovviamente, il contenuto del libro. Legata all’autobiografia come risorsa inesauribile di avvenimenti, Isabella Astorri inanella nel testo una serie di eventi-ricordi della sua esistenza che vanno dall’infanzia – è nata a Campobasso – fino agli anni della maturità – si è laureata in Filosofia all’Università Federico II di Napoli, insegnando poi nelle scuole superiori. Esperta di Diritto Internazionale Umanitario e magistrato onorario presso il tribunale dei minori di Campobasso, nonché infermiera volontaria della Croce Rossa e presidente del SIPBC ONLUS-MOLISE per la tutela dei beni culturali, la sua biografia è un racconto che non vuole indicare meriti per cui spesso le biografie risultano antipatiche e schiacciano chi le legge, niente affatto. Isabella Astorri scrive il suo libro per far sì che il lettore possa catturare il senso precipuo dei ricordi, muoversi come si muoverebbe uno scopritore qualunque che a distanza di anni vede nel velo del tempo comporsi e scomporsi tutti i frammenti della vita. Vivere è ricordare. Questo vuole dirci l’autrice. La quale, senza conferire al suo iouna forza alienante, come ribadisce Gianni Spallone nella prefazione, «assolutamente orizzontale senza appelli e senza giudizi morali» è il significato della scrittura di Isabella Astorri. L’autrice si pone come un’eroina che al protagonismo dell’io  «complementa un altro procedimento di allusione personale, meno evidente benché persistente: parlare degli altri per parlare di sé. Osservare gli altri per scoprire se stessa (e viceversa) spiazzando continuamente il fuoco dell’attenzione dalla memoria all’oggetto artistico in cui è immerso». Merito va anche a Gianni Spallone che dirige la collana di narrativa Centofiori, sempre per le edizioni Il Bene Comune, in una realtà emarginata e lontana dalle notizie più succulente come il Molise. In qualità di inviato del blog culturale EscaMontage.it e del Sindacato nazionale scrittori di Roma, ho potuto cogliere alcuni momenti edificanti della narrazione di Astorri. Sincera, perché pagina pulita dalle contaminazioni del ricordo che affioranocol tempo, Astorri riesce a restituire tutta la sostanza del testo quando al ricordo unisce la sapienza della riflessione, allontanando il semplice dato della memoria dalla convinzione che si possa ricordare senza saper spiegare. L’autrice in questo libro spiega e rivive l’infanzia, la giovinezza e la maturità: le esperienze di vita vissuta a Napoli negli anni della formazione universitaria e poi l’azione umanitaria in Somalia, tra animali, pratiche primitive e amicizie straordinarie. Ci piace menzionare qui, ad esempio,il confronto dell’autrice con la figura paterna. Scrive: «- Papà, lo sai, ho conosciuto un compagno operaio. Mi ha stretto la mano! Mio padre abbassò il giornale sorridendo: - Mi raccomando, non lavartele le mani, almeno per un po’ di tempo. Mio padreera stato fascista e aveva avuto anche un ruolo di grande rilievo. Ma era un uomo giusto, con un profondo senso etico e mai aveva commesso ingiustizie o prevaricazioni. Anzi. Basti pensare (e lo seppi non da lui) che, dopo la promulgazione delle ignobili leggi razziali, quando da Roma chiesero i nominativi degli Ebrei molisani, scrisse che nella Regione non risultavano famiglie ebree. […] Mio padre mi rimproverava per questo mio voler stare sempre in mezzo agli operai. Diceva che ero assillante, che mangiavo gran parte del loro pranzo e non era bello star sempre loro attorno. Li disturbavo e forse mi sopportavano solo per rispetto ed educazione.» A conclusione della presentazione del libro, avvenuta nella bella cornice del locale del lascito “Scipione Di Blasio”del Comune di Casacalenda, le abbiamo rivolto alcune domande.

Isabella Astorri, potremmo definire questo suo testo un testo mnemonautico, un viaggio dentro la memoria, quanto è importante per l’autrice ricordare?

«I ricordi sono sempre importanti, poi quando si mettono per iscritto e si decide di parlare del passato riaffiorano non soltanto i ricordi che sembravano dimenticati, ma riaffiorano i sentimenti e le sensazioni che certi fatti e certe situazioni hanno provocato in noi che magari avevamo sottovalutato oppure messi in un cantuccio della memoria. Io credo che soffermarsi sui ricordi, sulle proprie esperienze, sia importante per un processo di continua formazione che ogni essere umano ha dall’infanzia fino all’età più matura.»

In questo suo libro c’è anche un rapporto con la poesia. Com’è nato questo rapporto con la poesia, come si è avvicinata ad essa?

«Io ho sempre amato la poesia, dalla poesia greca fino alla poesia contemporanea. Ho anche una bella raccolta di poesia che spero di pubblicare l’anno venturo. Tra le poesie che ho scritto, mi sembrava opportuno inserire nelle pagine di prosa alcuni versi che sembravano esplicativi di quello che andavo scrivendo nel libro. Quando si parla di mio padre e del mio rapporto con i treni, e anche in merito alla mia esperienza in Somalia, quando è stata uccisa la mia amica crocerossina, anche lì ci sono dei versi che buttai giù poche ore dopo la notizia di questo tragicoevento.»

Della sua esperienza in Somalia come volontaria della Croce Rossa italiana cosa si sente di dire, anche in relazionecon i giovani che possono apprendere la sua esperienza?

«Vede, io mi occupo di Diritto dei conflitti armati, quindi di Diritto internazionale umanitario, effettivamente le operazioni di pace nascono da un ideale quanto mai nobile che è quello di andare a pacificare, e c’è il rischio, facendo un discorso per quanto riguarda non solo la mia esperienza, ma le situazioni in generale, come in affetti tutte queste operazioni di pace non abbiano portato effettivamente la pace. Speriamo per il meglio che la situazione in Somalia migliori, come anche la situazione in Kosovo. Sono andata lì di recente perché stiamo per realizzare un’operazione ambiziosa, cioè costruire un museo internazionale della pace, insieme al presidente della Croce Rossa del Molise, ma non solo come presidente della Croce Rossa, ma di un’associazione culturale di Casacalenda e con la mia collaborazione, essendo io presidente del SIPBC ONLUS-MOLISE, cioè Società Italiana per la protezione dei Beni culturali.»

Nel suo libro Lei parla anche della città di Napoli. Se dovesse definirla con tre aggettivi come la definirebbe?

«Tre aggettivi è difficile perché io ho sempre avuto un rapporto conflittuale con Napoli. Direi che Napoli è intrigante… affascinante… e cara!»

Un’ultima domanda in relazione all’attualità, cosa pensa di questa crisi economica che c’è in Italia e in Europa e che consiglio darebbe a un giovane?

«Che consigli possiamo dare a un giovane non saprei! È la classe politica che deve fare qualche cosa per i giovani, perché siamo giunti ad una situazione senza ritorno. Noi, quelli della mia generazione, abbiamo fatto la nostra vita, siamo stati anche fortunati, in primo luogo perché abbiamo avuto la possibilità di credere in alcune idee, perché c’erano le ideologie e si poteva lottare. Io sono una figlia del Sessantotto, quindi abbiamo avuto anche la possibilità di lavorare subito. Subito dopo la laurea ognuno di noi prendeva la strada che aveva deciso di prendere, questi giovani che cosa devono fare? Noi abbiamo messo su una cooperativa di turismo culturale per dare lavoro ai giovani, con i fondi europei, ma è faticosissimo. Non è possibile ancora che la classe politica sia indifferente a questa situazione. Noi stiamo perdendo un’intera generazione ed è veramente, guardi, io penso che qualche cosa succederà… perché non è possibile andare avanti così. Se non si muove qualche cosa noi avremo un disastro e di questa cosa purtroppo ne sono convinta.»




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