mercoledì 1 maggio 2013

Vacancy. sarah panatta


Elisa Fuksas, regist-architetto?

Nina. Un altro "figlio" (d'arte) precario e autoreferenziale?

Di sarah panatta

Inquadratura-battito. Caratteri-zombie. Senza, battito. Che sospingono, anzi respingono, desideri di carta pesta, cresciuti artificiosi e contratti, rattrappita dissolvenza, sul cemento, come origami senza spirito. Caratteri ammorbati, incarnato cupio dissolvi, ansia sottile e incomprensibile, che si emarginano, scavandosi, personaggi-ferita, senza riconoscersi.

Il dramma del precariato emotivo autocostretto in una vita urbana sottovuoto? L’esordio alla regia di Elisa Fuksas vuole riscattarsi dell’eredità trascinante di (celeberrimi) genitori, architettando un’opera contemplativa, da catalogo neo-classico/naif, tra De Chirico, Fellini e Risi, passando tangenzialmente per Moretti. Fuksas si psicanalizza, proietta in Nina (morbida deliziosa Diane Fleri, Mio fratello è figlio unico, Febbre da fieno), protagonista omonima del film, la rigida prosperosa fisicità di una donna in negazione. Aperta in variopinti leggeri sorrisi, per metà accennati, sul mondo intorno. Tracciato di mete predefinite con cura e disciplina. La passeggiata con il cane depresso dell’amico, partito per le sacrosante vacanze; la sacrale corsa mattutina tra i monumenti alteri e assolati dell’Eur agostano; la capatina notturna tra i fantasmi del quartiere, specchio di passioni assassinate prematuramente; le lezioni di cinese dal sinologo-confessore; le lezioni di canto impartite a creature sincere ma dissonanti. Punto di rottura inevitabile, scultura di garbo e di evanescenza, il violoncellista Fabrizio (Luca Marinelli, Tutti i santi giorni, Waves). Inseguimento paziente, la relazione necessaria eppure inconcepibile tra i due, si trasforma in attesa e non detto.

Incompleto ed estatico come i suoi personaggi, respiro geometrizzato di solitudini volontarie, e analisi identitaria mancata, il film di Fuksas non apre i quesiti professati. Non affonda nelle plaghe della generazione-dei-numeri-primi, i venti-trentenni votati all’hic et nunc mai problematizzato in cui pure Fuksas si immedesima. La giovane figlia “di” si limita ad esorcizzare il peso estetico e teorico di un’arte di cui vuole liberarsi ma da cui è drogata e mai stanca. Manuale d’amore impossibile, interiorizzato ma straniato dalla propria intentata empatia, costernato in una pellicola priva di reale dialettica visiva.

Ennesimo bagaglio ben confezionato di un progetto in partenza, pronto al volo, eppure mutilo, nelle ali quanto nella parola. Dialogo muto, ennesimo caso di incomunicabile autocelebrazione.

Perché morire di autoreferenzialità?

 

Nina. Regia di Elisa Fuksas. Con Diane Fleri, Luca Marinelli, Ernesto Mahieux, Luigi Catani, Marina Rocco, Andrea Bosca, Claudia Della Seta. Sceneggiatura Elisa Fuksas e Valia Santella. Direttore della fotografia Michele D’Attanasio. Musiche originali di Andrea Mariano. Prodotto da Magda Film e Paco Cinematografica. In collaborazione con Rai Cinema. Distribuito in Italia da Fandango. Dal 18 aprile in sala. Durata 84’.

Nessun commento:

Posta un commento