venerdì 1 marzo 2013

(Esca)Recensione, "Una tempesta di parole"

L’intima connessione con il senso dell’essere: lettura di “Una tempesta di parole” di Salvatore Contessini.



C’è generosità nella poesia di Salvatore Contessini. Nella sua ultima raccolta “Una tempesta di parole” (LietoColle 2011)  l’autore non solo concede sè stesso alla poesia, ma concede la sua poesia ad una forma feconda di amorevole condivisione del verso. Così l’autore si abbandona al bene lasciandosi rapire dalle parole di altri poeti e ad essi risponde con una “tempesta di parole”. Ma non c’è sovrapposizioni di voci in questa sinfonia, bensì un coro che canta all’unisono ove ognuno svela il proprio timbro interiore creando un tutt’uno armonico. Le parole diventano personaggi ognuna per il suo significato più puro, ed insieme una all’altra per una composizione ritmica e semantica di forte e profondo impatto emotivo.
Il titolo stesso ci svela il rapporto di forte passione che l’autore ha con la parola. Ed in quanto poeta si sente completamente avvolto da essa, ammaliato, affascinato e forse anche soggiogato, di sicuro spesso anche tradito quando essa non sopraggiunge ad afferrare nel modo che si vorrebbe il senso del sentire interiore.
Ma voglio azzardare un’ipotesi che, da sino-indologa, nasce in me quasi spontanea leggendo i titoli delle quattro sezioni nelle quali è suddiviso il libro. Esse sembrano  richiamare fortemente la filosofia orientale; ricordano infatti il percorso fatto da Siddharta per giungere al nirvana: “cosa si offre alla vista” il titolo della prima sezione, diviene dunque la presa di coscienza del mondo, l’approccio con la realtà, ciò che è intorno e fuori di noi; la seconda poi,  “Percepire lo svanire delle cose”,  rappresenta invece il lungo periodo di eremitaggio di Siddharta quando il suo pensiero iniziava a comprendere l’illusorietà della nostra realtà; Si arriva quindi alla terza sezione“scivola nel dubbio l’esistenza” traducibile  quindi come la profonda crisi interiore di Siddharta che riconosce come maya tutto ciò che vedono i suoi occhi; Infine la quarta sezione, “ripensare l’Essere nella sua originarietà”,  è dunque l’apice della filosofia buddista, l’accettazione che tutto è illusione (maya appunto) e che per sconfiggere il male è necessario acquisire tale consapevolezza fino a riunirsi  con il Tutto, con l’Essere Supremo e Originario, giungendo dunque al Nirvana o come viene tradotto da noi occidentali all’Illuminazione.
Forse è molto rischiosa questa mia interpretazione ma ritrovo nelle poesie del Contessini una forte valenza orientaleggiante, per l’appunto buddista con qualche concessione anche al taoismo: il bisogno di sintesi nella ricerca del verso è palese; l’interrogarsi sul senso dell’esistenza; sull’apparenza del mondo; la ricerca del silenzio.

Cinzia Marulli



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