Strade perdute, di sarah panatta
indizi di creta nel turgore sospeso della notte
connesso, al battito remoto della città, già sepolta
Sobbalzo nel tunnel neo-nato, dei corpi sfuggenti
intuisco schegge moltiplicazioni opache rivel-azioni.
Trattengo distanti i fiati accaldati di ibernate intimità
Esecutore del sonno dal sogno astenuto,
sul rotante acciaio delle tempie distese scandisco il delitto
seriale meditazione del cosmo vago enumerato enigma
Molle minima pressione
sulla superficie quasi umana dei compagni attraversati,
digito connotati dopati per compravendite suicide
Nell’estasi temuta dell’assenza
predatore ribaltabile su sedile carnivoro
arranco nella metallica sordina
del vagone occhieggiante, spazio di epidermiche ombre
Autista de-collato
parcheggio l’ultima dimora,
mobile rinvio per il cieco
sparo
Nota EscaMontante per autostoppisti poetici. Per il lettore potenzialmente astenuto. Per il lettore che "di passione cinefila non si vive" ma di passioni necrofile si governa. Per il lettore post elettorale stupito, già accalappiato da liane melancoliche, laggiù nel pantano della politica ingovernabile schedata da europei borsistici affanni. Per il lettore che "strade perdute? comprati una mappa". Strade perdute è una prova, un innesco, una cinepoesia in affanno. Nella corsa di Collateral e nel buio filosofico-edipico di Cosmopolis, Strade perdute si infiltra e mappa solitudini odierne, sostuendo la visione di Linch con il più scarno dilemma precario, "ho poche cartucce, forse buone, ma qui stiamo sparando alla cieca?"...
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